Il caso della CGIL di Sassari, che ha prima espulso tre suoi dirigenti e poi licenziato Antonio Rudas, continua a rappresentare una ferita aperta nell’etica e nella credibilità sindacale. Il sindacato ha concluso questa vicenda clamorosa con una netta sconfitta in tribunale: la magistratura ha giudicato infondate le accuse e inattendibili le testimonianze, condannando la CGIL a risarcire il lavoratore.
Nonostante tutto ciò, la CGIL ha deciso di restare in silenzio. Maurizio Landini, il suo segretario generale, sconfitto due volte in tribunale da Antonio Rudas e Giovanni Piras, e incalzato in televisione da Matteo Renzi, ha accuratamente evitato ogni spiegazione. Eppure, questa storia coinvolge nomi e responsabilità ben precise. Portarli alla luce potrebbe offrire a Landini un’ultima possibilità per recuperare almeno in parte la credibilità perduta.
Tre i protagonisti chiave che hanno costruito il cosiddetto “teorema accusatorio” contro Rudas: Gavino Doppiu, Francesca Nurra e Massimiliano Muretti. Nonostante la sentenza definitiva abbia smontato il loro impianto accusatorio, la giustizia interna della CGIL ha continuato a proteggerli. Il Comitato di Garanzia, ad esempio, ha assolto Francesca Nurra in prima istanza, e i suoi componenti si sono così esposti al giudizio della storia come inaffidabili, ingiusti e parziali.
Ora lo stesso comitato dovrà esprimersi su Doppiu e Muretti. Ma la questione ha superato i singoli: oggi è la credibilità stessa della CGIL a essere in gioco. Come può un sindacato che si proclama campione di democrazia e legalità ignorare ciò che i tribunali hanno ormai accertato?
Gavino Doppiu, ex segretario generale della FIOM territoriale e componente della segreteria confederale di Sassari, ha avuto un ruolo attivo nella campagna diffamatoria contro Antonio Rudas. Ha snocciolato un elenco di accuse tanto gravi quanto false:
Rudas ha smontato una per una queste accuse, portando documenti, dettagli e testimoni a suo favore. Nessuna di queste falsità, utilizzate come base per il suo licenziamento, ha trovato riscontro. La magistratura ha stabilito, in modo chiaro e definitivo, che Doppiu, Muretti e Nurra hanno voluto e formalizzato un licenziamento illegittimo, costruendo accuse infondate.
La verità:
Tra le accuse più infamanti e strumentali che Doppiu ha rivolto a Rudas, spicca quella relativa al presunto licenziamento di una dipendente in maternità. Ma i fatti raccontano un’altra verità, ben diversa e molto più umana.
All’epoca dei fatti, una giovane donna sarda stava vivendo un momento tragico: aveva appena perso il padre, operaio edile nel cantiere di Fiume Santo. I colleghi del padre chiesero aiuto ad Antonio Rudas, allora dirigente della FILLEA, e lui decise di assumerla, offrendo un sostegno concreto a una famiglia in difficoltà.
La FILLEA stava attraversando una gravissima crisi economica. Il settore edile era in crollo dopo Tangentopoli, i fondi scarseggiavano. Rudas e altri funzionari si tagliarono lo stipendio per proteggere i più deboli, ma non fu sufficiente. La FILLEA dovette rinunciare al contratto con la dipendente, ma Rudas le garantì una ricollocazione immediata nella struttura camerale, senza che perdesse un solo giorno di stipendio.
Diversi mesi dopo il trasferimento – avvenuto con il suo consenso – nacque suo figlio. Lei, grata, chiese a Rudas di farle da padrino. Lui, pur commosso, rifiutò con rispetto, non essendo credente.
Ciò che Doppiu ha definito abuso si è rivelato, nei fatti, un gesto di solidarietà e cura. Un raro esempio di umanità sindacale. La verità è che Rudas ha sostenuto quella lavoratrice in un momento di estrema fragilità, e lo ha fatto vent’anni prima che Doppiu – estraneo allora alla CGIL – usasse il suo nome per attaccarlo.
Doppiu non ha agito da solo: lo ha fatto sotto la regia di Michele Carrus, allora segretario della CGIL sarda e acerrimo nemico di Landini e dello stesso Rudas. Oggi Carrus è presidente nazionale della Federconsumatori.
Raccontare questa vicenda non serve a restituire dignità ad Antonio Rudas: le sentenze lo hanno già fatto. Serve piuttosto a rendere onore alla CGIL di un tempo, quella vera, fatta di uomini e donne che credevano nella giustizia sociale. Oggi, quel nome glorioso viene trascinato nel fango da chi ha usato il sindacato per costruire una menzogna che offende un’intera generazione di sindacalisti onesti.
La parte più inquietante di questa storia non riguarda solo le bugie emerse in tribunale o la meschinità di certi “sindacalisti”. Ciò che davvero preoccupa è la degenerazione della giustizia interna alla CGIL, che continua a coprire i colpevoli pur di proteggere il suo segretario generale. Un paradosso, se si pensa che fu proprio Rudas, anni fa, a difendere Landini quando Susanna Camusso – secondo quanto dichiarato dallo stesso Landini – tentava di estrometterlo con gli stessi metodi.
Il caso Rudas dimostra come un sindacato possa smarrire la sua missione e trasformarsi in strumento di repressione. Ma dimostra sopratutto che la verità, anche se calpestata, non resta sepolta per sempre. Prima o poi riemerge, e rompe il silenzio dell’omertà. La magistratura ha fatto la sua parte. Ora tocca alla CGIL guardarsi allo specchio. Tocca a Landini trovare il coraggio di un gesto semplice e potente: chiedere scusa.
Chiudere questa ferita solo nei tribunali non basta. Serve un atto di verità, un gesto morale. Serve per salvare l’anima del sindacato e offrire un esempio alle nuove generazioni. Perché il vero sindacalismo nasce dal coraggio, non dal conformismo. Dalla coscienza, non dal potere.
Non serve un “sindacato di strada”. Serve un sindacato pulito, onesto, che cammini a testa alta e si prenda cura di chi ha bisogno di lavoro, sì, ma anche di ricostruire una dignità. Una dignità di classe da trasmettere ai propri figli, per una prospettiva diversa.