
Tre sentenze, due delle quali definitive, hanno sancito senza possibilità di equivoci che le espulsioni di Giovanni Piras, Salvatore Frulio e Antonio Rudas, insieme al licenziamento di quest’ultimo, erano illegittime. La magistratura ha analizzato i fatti, valutato le prove e ristabilito la verità. Non ci sono ombre né interpretazioni possibili.
Ma la CGIL ha scelto di piegare la realtà. Ha assolto Francesca Nurra, Massimiliano Muretti e Gavino Doppiu, cioè coloro che quelle espulsioni e quel licenziamento li vollero, insieme a un folto gruppo di altri dirigenti di cui abbiamo parlato e continueremo a parlare. Così il sindacato si è trasformato in uno strumento consapevole della prevaricazione, escludendo dal suo interno la vera libertà di pensiero.
Non sembri paradossale: ci congratuliamo con loro proclamandoci felicemente sconfitti. Senza le scelte che hanno compiuto non avremmo mai potuto misurarci con l’unico tribunale che non conosce compromessi né artifici: la storia. È lei, e soltanto lei, a stabilire col tempo il confine netto tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, tra chi ha servito la verità e chi ha scelto di sacrificarla per il proprio tornaconto personale.
Il verdetto degli organi di garanzia interni, l’ultimo dei quali è arrivato ieri, è stato ancora più grottesco dei precedenti. Dimostra una verità lampante: più si sale nel livello di responsabilità interna, più si scende e si degrada. Tutto torna in maniera chiarissima: i vertici stanno alla loro base come l’ombra sta alla luce, li divora invece di illuminarli. La CGIL è avvolta dall’oscurità della sua oligarchia autoreferenziale, totalmente incapace di specchiarsi nel mondo reale da cui è avulsa.
Sostenere che i giudici “non si sarebbero espressi nel merito” non è solo demenziale, è ridicolo. Una menzogna che da sola abbatte ogni parvenza di credibilità e di autorevolezza della loro stessa funzione. Perché se è il sindacato a sostenere che un licenziamento per giusta causa può essere dichiarato illegittimo senza entrare nel merito delle accuse, allora possiamo affermare, senza esagerare, che qualcuno ha perso completamente la testa. Questo qualcuno non solo agisce in mala fede, ma ignora la sua stessa funzione.
Infatti, se anche se fosse stata soltanto una questione di metodo, come falsamente affermano gli organi di garanzia interni, già una volta messi alla berlina da due sentenze del tribunale della Capitale, l’atto sarebbe comunque nullo. E con esso anche il merito. Lo stabilisce l’art. 1418 del Codice Civile, che dichiara nullo ogni atto privo dei requisiti essenziali.
È la mancanza dei requisiti della delibera di espulsione a renderla nulla. Il procedimento contro Piras, Frulio e Rudas non poteva nemmeno essere aperto. Lo ha stabilito la magistratura, non certo qualcuno che passa per strada senza sapere dove sia diretto. Non chi, improvvisandosi giudice, opera dentro un’organizzazione che non distingue più nemmeno il nesso tra causa ed effetto.
La verità è che gli organi interni non hanno soltanto mostrato incapacità di giudicare. Ci troviamo davanti a un dato di fatto gravissimo: il sistema di giustizia interna della CGIL è irrimediabilmente compromesso.
I suoi organi non rappresentano una garanzia di democrazia per gli associati che pagano la tessera. Sono scudi al servizio del potere interno, pronti a respingere persino le proprie regole pur di assecondarne le azioni illegittime.
Lo Statuto e il Codice etico, ridotti a carta straccia, vengono piegati e traditi a ogni occasione. Con il loro operato, questi organismi non tutelano i diritti degli iscritti ma li violano sistematicamente.
Le regole, in questo scenario, non hanno più alcun valore. Servono soltanto a costruire un’immagine capovolta della realtà, quella di un soggetto che si presenta come organizzazione aperta ma che, in verità, è blindato su sé stesso.
La CGIL, con i suoi dirigenti, agisce spesso contro le regole e contro la morale. È lecito valutare, considerato che sono proprio loro a spingerci a farlo, che possano essere chiamati personalmente a risponderne. Quando un sindacato si proclama faro dei diritti ma rifiuta di leggere le sentenze della magistratura, non resta più nulla della sua credibilità. Rimane solo un apparato che si comporta come il peggiore dei padroni dell’Ottocento.
E poi c’è Maurizio Landini, il vero protagonista di questa vicenda. Non solo perché in tribunale ha perso due volte contro di noi: Sentenza Trib. Roma n. 7514 del 02/05/2024; Sentenza Trib. Roma n. 25986 del 29/06/2024. Lo è soprattutto per la sua grande faccia tosta. Ancora oggi si mette in prima fila a difendere la Magistratura contro le scelte del Parlamento, mentre è proprio lui, con il suo comportamento, a fregarsene delle sentenze. Evidentemente, per il capo della CGIL, la giustizia deve essere libera dal potere legislativo ma non dal potere del suo sindacato.
Eppure le sue stesse parole lo stringono all’evidenza: Landini ha affermato che «per sua funzione la magistratura deve essere indipendente da chiunque, dai partiti, dai governi». Nel solco di quella linea ha sottoscritto un accordo di collaborazione con l’Associazione Nazionale Magistrati (24 ottobre 2022, firmato con il presidente ANM Giuseppe Santalucia). Nello stesso registro, a fine 2024, ha invocato una “rivolta sociale” contro le ingiustizie come condizione della libertà della persona.
Come si conciliano allora queste posizioni pubbliche con il fatto che, in casa propria, si legittimino organi che mentono spudoratamente, arrivando a sostenere che i giudici «non si sarebbero espressi nel merito»? Qui le parole non reggono più i fatti.
Oggi a Catania, durante una manifestazione, a cui hanno aderito poche centinaia di persone, è accaduto qualcosa che dice più di tante dichiarazioni. Sul palco, il figlio del lavoratore illegittimamente licenziato ha chiesto a Maurizio Landini cosa ne pensasse di quella vicenda. Il segretario della CGIL non ha risposto. Si è limitato ad assicurare che “ne avrebbero parlato”. Un silenzio che pesa come una conferma.
Per questo scriveremo all’Associazione Nazionale Magistrati e al Ministro della Giustizia, esponendo tutta la vicenda. Chiederemo se, a loro avviso, Maurizio Landini stia davvero rispettando i principi di cui si è fatto paladino e se la CGIL, con il suo operato, rientri ancora nel solco democratico e costituzionale.
Questa doppiezza non nasce oggi. Lo accompagna sin dall’inizio e probabilmente da prima della sua scalata ai vertici della CGIL.
Egli deve la propria sopravvivenza politica anche a chi in Sardegna, difese con ostinazione la libertà di pensiero contro i tentativi di cacciata dell’allora segretario generale Susanna Camusso. Quelle battaglie, condotte quasi in solitudine da chi oggi è stato espulso, gli permisero di restare in sella. Ed è anche per questo motivo, che quegli stessi uomini furono puniti con l’espulsione.
Ma ora che il capo sei tu, Maurizio, e che aspiri a superare chi ti ha preceduto, quella logica perversa che un tempo facevi credere di combattere l’hai persino rafforzata. Qui il paragone con la grande tradizione sindacale diventa inevitabile.
Giuseppe Di Vittorio, simbolo di una difesa instancabile degli ultimi, mai avrebbe scambiato la libertà di pensiero con meschini tornaconti politici personali. Luciano Lama, pur tra mille difficoltà, seppe mantenere vivo un margine di confronto reale. Tu, invece, hai imbalsamato il dissenso e piegato la democrazia interna fino a ridurla a caricatura. Così la tua figura morale ne esce a pezzi: non come quella di chi cade sconfitto, ma come quella di chi tradisce la propria promessa. Sei diventato il simbolo di ciò che avresti dovuto combattere. Da presunto eroe della classe operaia a agente effettivo del sistema che promettevi di contrastare.
Ma questa storia va oltre i nomi. Va ben oltre la tua fragile figura umana. È il ritratto di un corpo in decomposizione. La CGIL non è più un organismo vitale, ma un involucro che marcisce. Non genera più forza, non produce più speranza. Sopravvive tra burocrazia sterile e slogan logori.
Non occorre essere dei sociologi per capire che quando un’istituzione perde il legame con la sua base, muore. E la morte della CGIL si avverte già oggi, nel tanfo di una democrazia proclamata ma mai praticata.
Eppure, non serve odiarti, non serve nemmeno prenderti troppo in considerazione. Serve capire il senso di tutto questo. Francesca Nurra, Massimiliano Muretti, Gavino Doppiu o lo stesso Maurizio Landini non sono i nostri veri nemici. Lottiamo contro l’ingiustizia e l’ipocrisia da sempre. Se le nostre strade si intrecciano, evidentemente così deve essere.
Platone ci ha insegnato che senza l’ombra non esiste luce. Socrate ricordava che persino l’infamia ha un posto nel cammino verso la verità. Spinoza scriveva che tutto ciò che accade, persino ciò che appare ingiusto, ha un ruolo necessario nell’ordine universale.
A certe persone tocca il compito più miserabile: incarnare l’infamia. È un ruolo antipatico ma non scomodo, questo perché lo svolgono ispirati dalla loro stessa natura personale. Secondo questo ordine universale, anche la loro funzione è indispensabile. Per questo opporre odio all’ingiustizia che subiamo non avrebbe senso. Solo per contrasto si rivela la luce di chi lotta davvero contro soprusi e ingiustizie. Senza l’agire del male non vi può essere l’avanzare del bene.
Sia chiaro: non pretendiamo di attribuirci da soli la parte dei giusti. Ma una cosa è certa: la nostra resistenza non avrebbe trovato forma concreta senza il loro lato oscuro. Non avremmo potuto farci strumento delle tante persone che non si arrendono.
La vera giustizia, quella che non lascia alcun dubbio, si sta muovendo in maniera meravigliosa. In soli undici mesi, oltre 47.000 lavoratori, e solo tramite il nostro sito, hanno strappato la tessera che questi dirigenti hanno infangato. È un segnale inequivocabile: i lavoratori stanno prendendo coscienza. Stanno scegliendo di non farsi più rappresentare da chi li tradisce.
È la prova che avevamo e abbiamo ancora ragione a portare avanti la nostra battaglia. E continueremo a farlo da uomini liberi, fino a quando avremo respiro.
Auguri, Maurizio. Auguri, Francesca, Massimiliano e Gavino. Vi auguriamo una vita lunga e colma di soddisfazioni, non come quella che oggi celebrate. Vi auguriamo che la coscienza, la vostra come quella di ciascuno di noi, sappia trasformare gli errori in passi di crescita. Che un giorno, attraverso il dolore, le umiliazioni che ci avete inferto e la caduta delle vecchie e decrepite istituzioni, l’umanità intera possa elevarsi verso una condizione più giusta e luminosa.