All’indomani dello scandalo sul suo libro rendicontato alla Regione Sardegna, e acquistato con i soldi delle tasse dei cittadini, Fausto Durante, segretario generale della CGIL Sardegna, non ha rilasciato comunicati né repliche ufficiali, se non per assicurare che «è tutto regolare». Un silenzio che arriva in un momento già attraversato da malumori crescenti nel gruppo dirigente dell’organizzazione, dove la distanza tra i vertici e i lavoratori si fa ogni giorno sempre più profonda.
Forse a corto di argomenti, Fausto Durante ha pensato che una citazione d’autore potesse bastare come risposta. L’8 ottobre ha pubblicato su Facebook la copertina del romanzo di Andrea Camilleri Un covo di vipere, accompagnandola con la frase: «Qui siamo, in un covo di vipere.»
Nessuna spiegazione, nessun commento: solo quella frase lasciata galleggiare nel mare dei social come un messaggio in bottiglia. Ma anziché suscitare curiosità o consenso, il post è diventato motivo di irrisione. Dentro e fuori il sindacato, in molti hanno colto l’ironia involontaria della frase, trasformandola in una piccola caricatura del clima interno alla CGIL. Più che una citazione letteraria, è sembrato un autogol comunicativo: un lapsus che ha detto più di quanto il segretario volesse rivelare.
Un pugliese che guida la CGIL sarda e parla di vipere: sembra la trama di un romanzo, e invece è cronaca. Solo che, in questa storia, il veleno non è letterario: è quello che scorre tra bilanci nascosti, e rendiconti opachi solo occasionalmente pubblicati, iscritti fantasma e numeri che non tornano con le entrate reali. Un quadro che lascia più ombre che trasparenza e che rende ancora più ironica quella citazione finita nel momento meno opportuno.
Nel romanzo di Camilleri, il commissario Montalbano scopre che il “covo di vipere” non è un luogo, ma un intreccio di ipocrisie. Anche nella CGIL, a quanto pare, il veleno non è un dettaglio ma un metodo.
Non serve nemmeno scavare tra numeri e finanziamenti: di questo ci occuperemo meglio prossimamente. La questione, in fondo, non è solo contabile, ma soprattutto morale.
Se il gruppo dirigente della CGIL può davvero essere descritto come un “covo di vipere”, non lo si deve certo all’ironia di una frase. Lo dimostrano anni di decisioni controverse, comportamenti censurati persino dalla magistratura e figure screditate dal proprio stesso operato. In questo quadro, Fausto Durante non è un osservatore esterno, ma il vertice stesso di quel sistema che lui, forse involontariamente, ha evocato con quella citazione.
C’è chi, con amara ironia, ha definito la scena “un romanzo dentro il romanzo”: quello del capo della CGIL sarda, Lavorare meno, vivere meglio, che finisce per incrociare Un covo di vipere. Due titoli, due mondi, una sola morale: chi lavora davvero, vive sempre peggio.
Il post di Fausto Durante non ha solo fatto sorridere: ha scoperchiato un vaso di nervi. Molti, dentro e fuori la CGIL, si chiedono chi siano le “vipere” di cui parla e se il veleno circoli solo sui social o anche nei corridoi del sindacato. L’effetto, per l’immagine dell’organizzazione, è stato disastroso: un sindacato che si descrive da solo come “covo di vipere” non ispira fiducia a nessuno.
Tra riunioni per parlarsi addosso e comunicati in fotocopia, la CGIL sarda sembra vivere in un eterno congresso, dove le parole sostituiscono i fatti e i personalismi hanno preso il posto delle idee. I pochi che ancora svolgono con coscienza la propria funzione osservano, ma tacciono: un silenzio rassegnato che maschera l’assenza di coraggio. E intanto si continua a recitare la parte dei difensori dei lavoratori, ignorando che, fuori da quelle stanze, la realtà è tutt’altra.
Disoccupazione e migrazione giovanile in aumento, salari da fame, una sanità che la stessa Agenzia nazionale definisce tra le peggiori d’Italia, importazione della criminalità, consumo improprio e abuso del territorio, vertenze aperte da anni e mai chiuse: un elenco che potrebbe continuare all’infinito. Eppure, davanti a tutto questo, il sindacato che dovrebbe elaborare strategie e proporre soluzioni resta fermo, mentre la sua classe dirigente si accapiglia per un post su Facebook.
È difficile capire se quella frase volesse essere una battuta o un’ammissione. Ma una cosa è certa: citare Camilleri, maestro nel descrivere le ipocrisie del potere, ha avuto un effetto boomerang. Ha reso visibile, in un colpo solo, ciò che molti iscritti pensano da tempo: un sindacato autoreferenziale, più attento alle proprie dinamiche che ai problemi dei lavoratori.
L’immagine che resta è amara, ma fedele: un sindacato che si racconta attraverso un romanzo, un segretario che si rifugia nella letteratura per non affrontare la realtà, e un popolo di lavoratori che, giorno dopo giorno, si riconosce sempre meno in chi li guida.
Camilleri avrebbe sorriso. Perché, ancora una volta, la finzione ha ceduto il passo alla verità. E la verità, in questa storia, non si trova nei libri ma nelle crepe di un sistema che non riesce più a distinguere tra finzione e realtà.
Approfondisci il nostro articolo dedicato su, Fausto Durante e il libro pagato dai Sardi