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L’opinione
3 Novembre 2025
Illustrazione ispirata al Quarto Stato che mostra la trasformazione dei lavoratori in figure spettrali con bandiere rosse, simbolo degli iscritti fantasma della CGIL.
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CGIL: il bluff delle tessere e degli iscritti fantasma

Un bilancio in utile, una revisione regolare, numeri che sembrano solidi: eppure dietro le colonne dei conti della CGIL nazionale si nasconde un meccanismo che poco ha a che vedere con la trasparenza.

L’organizzazione si regge su un artificio contabile: la vendita delle tessere alle Camere del Lavoro non corrisponde agli iscritti reali, perché se ne stampano più di quante ne servano e molte restano nei cassetti, testimoni muti di un consenso che non esiste più.

Le Camere del Lavoro acquistano i blocchi di tessere dalla sede nazionale e li rivendono alle strutture territoriali. Queste, che incassano le quote mensili dei lavoratori tramite delega, devono certificare l’iscrizione compilando le tessere con i dati personali prima di consegnarle.

In teoria ognuna dovrebbe finire a chi la paga; in pratica, l’eccedenza alimenta la categoria degli “iscritti fantasma”. Dietro ogni tessera inutilizzata ci sono soldi veri di lavoratori reali. Nel 2024, solo per stamparle e spedirle, sono stati spesi 231.707 euro, molte delle quali non sono mai uscite dalle sedi territoriali.

Per la CGIL nazionale la vendita delle tessere risulta comunque un “affare”. È un’entrata reale e dimostrabile, che  finisce in bilancio come segno di crescita. In questo modo può mostrarsi all’opinione pubblica, agli interlocutori istituzionali e ai lavoratori come un’organizzazione sana e forte. Eppure la sofferenza finanziaria delle sue strutture territoriali, molte delle quali annegano nei debiti, sta trascinando verso il collasso l’intero sistema.

Sotto la superficie del bilancio

Il bilancio 2024 della CGIL nazionale appare solido: utile di 58.454 euro e totale attivo di 35,48 milioni. Le revisioni esterne ne certificano la correttezza formale, ma non ne chiariscono la sostanza. A essere verificata è solo la struttura nazionale, mentre l’origine delle entrate resta fuori dal perimetro di controllo — e la società di revisione non ha l’obbligo di segnalarlo.

Infatti, oltre il 94% delle entrate della CGIL nazionale proviene dalla vendita delle tessere alle Camere del Lavoro. Un flusso economico consistente, che però riflette il numero di tessere stampate, non la presenza reale di chi dovrebbe rappresentare.

Nel 2024 le quote per tessera variano da 1 euro per i disoccupati a 5,45 euro per i lavoratori attivi, con livelli intermedi per le altre categorie. Gli iscritti dichiarati sono 5.172.844, a fronte di proventi complessivi pari a circa 21,8 milioni di euro. Questo equilibrio, solo apparente, mostra che la crescita non nasce da nuove adesioni, ma dalla tenuta di un sistema autoreferenziale: è come vantarsi di più tifosi solo perché si stampano più biglietti, mentre sugli spalti restano posti vuoti.

Le nostre stime sugli iscritti reali

Gli iscritti ufficiali dell’esercizio sono 5.172.844, suddivisi tra attivi e pensionati secondo i dati diffusi dall’ecosistema informativo della confederazione. Questi numeri descrivono un corpo sociale “contabile”, perché la registrazione a livello nazionale avviene nel momento in cui le tessere vengono fornite alle Camere del Lavoro, non quando sono effettivamente attivate nelle strutture territoriali.

La stima che abbiamo elaborato poggia su due elementi concreti. Primo: dai pochi bilanci pubblicati dalle strutture territoriali emerge che le entrate per contributi sindacali non coincidono con quanto ogni iscritto versa davvero. La quota sindacale, calcolata di norma come l’1% dello stipendio lordo, porta mediamente un lavoratore attivo a pagare oltre 250 euro l’anno al sindacato di appartenenza.

Secondo: chi firma questa analisi ha maturato un’esperienza dirigenziale pluridecennale ai vertici della CGIL, conoscendo a fondo – e contestando più volte — i meccanismi ormai “istituzionalizzati” del gonfiamento dei numeri. Alla luce di questi riscontri, la valutazione più prudente indica una sovrastima tra il 40% e il 43%. Tradotto in cifre, gli iscritti effettivi nel 2024 sarebbero circa 3 milioni, contro i 5,17 dichiarati. 

Non si mette in dubbio la regolarità formale dei conti riscontrabili nel bilancio della CGIL nazionale, ma la loro attendibilità sostanziale. Quando il centro misura il proprio radicamento in base alle tessere fornite, più che alle persone reali, la distanza tra forza dichiarata e forza effettiva cresce fino a diventare abissale.

Gli associati inconsapevoli

A pagare il prezzo sono gli iscritti in carne e ossa, che pagano le quote senza conoscere le reali condizioni in cui versa l’organizzazione. Il sistema dei delegati e la gestione dei permessi sindacali assicurano continuità ai vertici, che finiscono per auto-promuoversi. Così la vita democratica interna si riduce a un rituale, con incarichi spesso già decisi in partenza. In queste condizioni, lo spazio per un confronto libero e informato — capace di mettere davvero in discussione questo meccanismo distorto — è pressoché nullo.

L’assenza di un’attuazione effettiva dell’articolo 39 della Costituzione mantiene opaca la rappresentatività e la responsabilità giuridica delle organizzazioni sindacali. Ne deriva un sistema chiuso e autoreferenziale, dove la gestione dei dati su iscritti, tessere e rappresentanza rafforza il controllo del gruppo dirigente e limita il diritto della base a conoscere davvero l’organizzazione che sostiene.

Bilanci nascosti agli iscritti e gonfiati con debiti mascherati da crediti

Il numero ufficiale, oltre cinque milioni di iscritti, colloca la CGIL tra i maggiori sindacati d’Europa. Le entrate restano enormi, ma non più sufficienti a sostenere un apparato divenuto fine a sé stesso: costoso, autoreferenziale e lontano dalla missione di un sindacato sano. Il sistema continua a funzionare come un mercato chiuso, in cui il centro incassa dalle Camere del Lavoro che, a loro volta, trascinano i territori nel baratro dei debiti per lucidare l’immagine del vertice.

A fine 2024 i “crediti interni” ammontano a 13,6 milioni di euro, concentrati soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno. Questa massa di denaro non riscossa sostiene i conti centrali e maschera le difficoltà locali, segnalando che l’organizzazione vive più di ricircolo interno che di crescita reale. 

Non stupisce, allora, che la stragrande maggioranza dei rendiconti territoriali restino nascosti. In Sardegna, ad esempio, nessuna Camera del Lavoro ha pubblicato il bilancio 2024. L’unico disponibile online è quello del 2023, relativo a Cagliari. Siamo dentro un vuoto informativo assoluto e indecente. Paradossale, per chi ogni giorno si riempie la bocca di parole come democrazia, trasparenza e correttezza.

La CGIL smetta di proclamarsi democratica

Questa vergogna impedisce di verificare la corrispondenza tra le tessere stampate e gli iscritti effettivi. L’assenza di un bilancio consolidato di sistema rende impossibile misurare il divario tra forza dichiarata e forza reale, lasciando irrisolto il nodo della trasparenza e della rendicontazione verso gli associati.

Sulla base dei pochissimi dati disponibili, ma soprattutto dell’esperienza diretta sul campo, la stima di un gonfiamento tra il 40% e il 43% appare persino sotto dimensionata. A mio avviso il corpo sociale effettivo é intorno ai tre milioni di iscritti. Una differenza in grado di falsare la percezione pubblica della CGIL e, con essa, il peso politico che ancora le viene riconosciuto.

Autore: Antonio Rudas
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