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L’opinione
12 Maggio 2025
Pietro Bazzu in un siparietto nell'ex carcere dismesso dell'Asinara.
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CGIL, Bazzu rompe il silenzio: ma le domande restano aperte

Un confronto casuale in piazza riaccende i riflettori sul caso degli espulsi

Pietro Bazzu, attuale segretario dello SPI CGIL di Sassari ed ex segretario generale della Funzione Pubblica, è intervenuto pubblicamente su una vicenda che da anni rappresenta una ferita aperta nella storia recente della CGIL.

Si tratta dell’espulsione e del licenziamento, poi giudicati illegittimi, di tre dirigenti dell’organizzazione: Antonio Rudas, Giovanni Piras e Salvatore Frulio.

Il confronto si è acceso durante un’iniziativa pubblica a Sassari, in occasione di un volantinaggio per promuovere il referendum dell’8 e 9 giugno. Un lavoratore, dopo aver ricevuto un volantino da una militante CGIL, ha posto una domanda scomoda e diretta:

“Con quale coerenza chiedete di votare per il reintegro dei lavoratori illegittimamente licenziati, quando la CGIL ha espulso e licenziato tre dei suoi dipendenti in violazione della legge e si è rifiutata di reintegrarli?”

Le sentenze che mettono a nudo le contraddizioni del sindacato

Il riferimento era chiaro: nel 2017, la CGIL espulse i tre dirigenti a seguito di un esposto firmato dall’attuale segretaria regionale Francesca Nurra.

Successivamente, la magistratura si è espressa con tre sentenze, di cui due definitive, emanate dal Tribunale civile di Roma e dalla Corte d’Appello di Cagliari. Tali decisioni hanno stabilito che le espulsioni e il licenziamento di Antonio Rudas furono illegittimi e privi di fondamento.

Nonostante ciò, la CGIL ha scelto di non reintegrare i tre dirigenti. Ha preferito liquidare economicamente il danno riconosciuto dalla magistratura e ignorare ogni forma di riparazione morale e politica.

Non sono mai arrivate scuse ufficiali. Nessuna ammissione di errore. E, soprattutto, nessuna rimozione dei responsabili.Tutti coloro che promossero o sostennero quelle azioni, compresi Massimiliano Muretti, Gavino Doppiu e la stessa Nurra, sono tuttora saldamente al loro posto.

L’intervento di Bazzu: apertura personale, ma nessuna posizione politica chiara

La militante CGIL, interpellata dal lavoratore a cui stava consegnando il volantino, ha mostrato evidenti segnali di disagio. È stato allora che Pietro Bazzu si è fatto avanti. Ha dichiarato di avere ancora stima e affetto personale per Rudas, Piras e Frulio, definendoli “grandi amici”. Ha aggiunto:

“Se Antonio Giovanni e Tore vogliono dirmi qualcosa, non devono far altro che chiamarmi.”

Più ancora, ha chiesto al lavoratore di riferire il suo messaggio, manifestando a quanto pare, la volontà di riallacciare un contatto:

Una dichiarazione che, per quanto sincera sul piano umano, non ha risposto al quesito politico posto dal lavoratore. Perché la questione centrale resta: com’è possibile che un’organizzazione che predica giustizia sociale abbia scelto di non applicarla al proprio interno?

Quando Rudas difese Bazzu

Il caso si carica di ulteriore significato se si ricorda un episodio avvenuto alcuni anni fa. Proprio Pietro Bazzu fu oggetto di un tentativo di deferimento al comitato di garanzia della CGIL. Molti dirigenti lo consideravano troppo sopra le righe nei suoi interventi. Fu Antonio Rudas, allora segretario della Camera del Lavoro, a opporsi a quel tentativo.

Rudas affermò con chiarezza che, sebbene lo stile di Bazzu fosse a tratti irruente, la sua libertà di espressione doveva essere difesa, non repressa. Il dissenso, disse, si combatte con le idee, non con le sanzioni. E aggiunse che Bazzu non aveva mai utilizzato il sindacato per interessi personali, né aveva mai compiuto atti disonesti e che mandarlo via dalla CGIL sarebbe stata cosa cosa vile.

Oggi, chi ha sostenuto quella difesa si chiede: perché a Bazzu fu concessa comprensione e apertura, mentre per Rudas, Piras e Frulio non ci fu alcuno spazio di confronto, né umano né politico? La disponibilità di Bazzu ad aiutare, infatti, sembra più dettata da un legame personale che non da una reale consapevolezza politica delle contraddizioni interne alla CGIL. Una disponibilità che lascia intuire un certo disagio, forse persino un senso di colpa, ma che ancora non si traduce in una presa di posizione pubblica coerente con i valori fondativi dell’organizzazione.

I numeri di un dissenso che cresce

Dopo anni di silenzio, i tre ex dirigenti hanno deciso di non restare a guardare. Hanno fondato questo sito attraverso il quale denunciano le incoerenze della CGIL e promuovono una cultura sindacale basata sulla partecipazione e l’effettiva democrazia.

In soli sette mesi, i contenuti pubblicati sul loro sito hanno superato le 916.000 visualizzazioni.

Oltre 35.000 lavoratori hanno inoltre scaricato il modulo per disdire l’iscrizione al sindacato. Decine di messaggi arrivano ogni mese da lavoratori in cerca di tutela, anche da dentro il sindacato. Tra loro vi sono delegati, funzionari, giovani quadri stanchi di essere sfruttati e poi abbandonati.

Questo flusso crescente dimostra che la domanda di giustizia non si può mettere a tacere con un licenziamento.

I tre dirigenti ribadiscono di essere disponibili a confrontarsi anche pubblicamente. Un’occasione concreta potrebbe presentarsi nei prossimi giorni, a Sassari, dove è attesa la partecipazione del segretario nazionale Maurizio Landini a un’iniziativa sindacale.

Il ruolo di Landini e la domanda inevasa

Landini fu parte attiva nel procedimento contro Rudas, Piras e Frulio, in qualità di rappresentante legale della CGIL, opponendosi al reintegro dei lavoratori e uscendone sconfitto su tutta la linea. La magistratura ha infatti certificato l’illegittimità delle espulsioni. Appare evidente che, se i dirigenti responsabili sono ancora oggi al loro posto, è perché l’errore è da attribuire allo stesso Maurizio Landini. Una responsabilità politica e organizzativa che nessuno, finora, ha avuto il coraggio di riconoscere apertamente.

Proprio per questo, ora, una domanda esige risposta:

“Visto che ci sono già due sentenze definitive della magistratura, è normale che chi ha licenziato illegittimamente dei lavoratori continui a svolgere la funzione di sindacalista?”

Anche ipotizzando, per assurdo, che la magistratura si sia sbagliata nel giudicare illegittime le decisioni della CGIL, resterebbe comunque un grave vuoto di responsabilità. Se davvero la ragione fosse stata dalla parte dell’organizzazione, essa e i suoi dirigenti avrebbero potuto impugnare le sentenze nel merito per dimostrare la fondatezza delle loro decisioni. Invece, si sono ben guardati dal farlo. Non solo: nel corso dei procedimenti, alcuni tra coloro che ricoprono ancora incarichi apicali nella CGIL avrebbero addirittura fornito al giudice dichiarazioni in aperto contrasto con i fatti, nel tentativo di ottenere un risultato politico che altrimenti non sarebbe mai stato raggiunto. È questa l’anomalia più grave: a memoria d’uomo, nessuno ricorda un caso in cui una sentenza che certifica una condotta immorale venga accettata passivamente dai suoi stessi protagonisti, come se nulla fosse.

Serve una svolta subito o sarà troppo tardi

Pietro Bazzu ha aperto una porta. Ora tocca alla CGIL decidere se varcarla oppure chiuderla per l’ennesima volta. Se il sindacato vuole tornare a essere davvero la casa dei lavoratori, dovrà iniziare a guardare con lucidità dentro sé stesso. Servono scelte coraggiose e nette, non frasi di circostanza. Giustizia non può restare solo uno slogan da mettere su un volantino: dev’essere un principio da applicare nei fatti. Finché questo non accadrà, la distanza tra la base e i vertici continuerà ad allargarsi. E allora non basteranno più né referendum, né manifestazioni, né il maquillage di democrazia offerto dagli organi di garanzia interni, già smentiti dalla magistratura.

Nei prossimi giorni, un banco di prova importante sarà il giudizio sul comportamento di Francesca Nurra. Se la CGIL non dovesse riconoscerne la responsabilità, nonostante i precedenti già accertati dalla giustizia, il messaggio sarebbe chiaro: l’organizzazione si considera addirittura al di sopra della magistratura. A quel punto, ogni appello alla trasparenza o al cambiamento risulterebbe vuoto. E sì, sarebbe semplicemente risibile.

AUTORE CGL
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