
Una madre al supermercato deve rinunciare a comprare carne o latte perché lo stipendio non basta. Un pensionato taglia sulle medicine perché il ticket lo soffoca. Intanto, ogni mese, dalle loro buste paga e dalle pensioni la Regione trattiene tasse che dovrebbero servire a migliorare la vita dei cittadini. Ma quei soldi finiscono anche altrove: nelle casse di un sindacato che li usa per pagare le spese condominiali dei propri uffici, le bollette, la cancelleria, gli abbonamenti ai giornali, persino rappresentazioni teatrali e i libri scritti dal suo stesso segretario generale.
È quello che è accaduto con Fausto Durante e la CGIL Sardegna. Non è un dettaglio marginale: è il simbolo di un sistema che ha tradito la sua vera missione, trasformando una legge pensata per lo sviluppo della Sardegna in un salvadanaio al servizio dell’apparato sindacale.
Nel congresso regionale della CGIL che ha riconfermato Fausto Durante come segretario generale, ai delegati sono stati distribuiti i libri scritti da lui stesso. Un omaggio letterario il cui contenuto propagandistico lascia interdetti. Ma i gusti sono gusti, sempre che riguardino chi li condivide e li paga di tasca propria.
Fausto Durante proviene da Lecce, e ora guida la CGIL in un’altra regione, la Sardegna. Proprio qui, questa scelta poco elegante non è rimasta un fatto interno, sostenuto con risorse del sindacato: la spesa per l’acquisto dei libri è stata inserita nel rendiconto presentato alla Regione Sardegna e coperta con soldi pubblici, cioè con le tasse trattenute direttamente dalle buste paga e dalle pensioni dei sardi.
Così un momento che dovrebbe rappresentare la democrazia interna si è trasformato in una farsa: un’operazione di autopromozione pagata dai contribuenti. E sapete chi ha presentato il conto alla Regione? Proprio lui, Fausto Durante.
Lo stesso segretario che, calatosi nei panni di scrittore, ha deciso di piazzare i suoi “capolavori” alla CGIL, l’organizzazione che guida e di cui controlla i cordoni della borsa. Una recita perfetta: l’autore che si compra da solo, l’organizzazione che paga e la Regione che rimborsa. Il tutto, naturalmente, a carico dei cittadini sardi.
Provate a cercare il suo nome su un motore di ricerca: le informazioni che troverete raccontano molto di più di quello che viene detto nei congressi.
La legge regionale 31 del 1978 nasceva con uno scopo solenne: sostenere le attività sindacali sui temi dello sviluppo economico e sociale dell’isola. Ma i rendiconti presentati dalla CGIL raccontano un’altra storia.
Ci trovi dentro spese di condominio e pulizie degli uffici, utenze di acqua, luce, telefono e internet, spese postali e cancelleria, manutenzione di locali e impianti, abbonamenti a giornali e acquisto di libri, costi del personale dell’apparato politico e collaborazioni esterne, iniziative culturali come spettacoli teatrali, presentazioni di volumi e campagne di immagine.
La domanda è inevitabile: che cosa c’entrano le bollette, i congressi, gli spettacoli teatrali e i libri del segretario con lo sviluppo economico e sociale della Sardegna? La risposta è semplice: nulla.
A peggiorare il quadro c’è il nodo della rappresentatività. I contributi sono distribuiti in base al “peso” dei sindacati. Ma chi certifica questo peso? Non un organo indipendente, non una verifica pubblica. È la CGIL stessa a sedersi al tavolo, a stabilire i criteri e a certificare sé stessa.
Così chi già ha il potere continua a finanziarsi, blindando la propria posizione e impedendo ogni reale concorrenza. Un sistema che non premia chi davvero rappresenta i lavoratori, ma chi controlla l’apparato.
Il paradosso è ancora più grande se si guarda ai bilanci. La CGIL non rende pubblici i bilanci completi di tutte le sue strutture territoriali. Eppure, da quei documenti dovrebbero emergere entrate, impieghi e numero effettivo di iscritti. Informazioni elementari, che in qualsiasi organizzazione democratica sarebbero disponibili a iscritti e cittadini.
Invece regna il silenzio. I lavoratori non sanno come vengono spesi i loro soldi. I contribuenti non possono verificare se le tasse trattenute dalle loro buste paga e pensioni vengano davvero impiegate per lo scopo dichiarato dalla legge.
Di fronte a questo scenario, la Regione Sardegna non può voltarsi dall’altra parte. Finché la CGIL non renderà pubblici i bilanci di tutte le sue strutture territoriali, con trasparenza totale su entrate, uscite e numero di iscritti, ogni finanziamento resta un insulto alla fiducia dei cittadini. Le somme già assegnate dovrebbero essere restituite e i contributi sospesi, fino a quando il sindacato non dimostrerà di essere davvero democratico e responsabile nei confronti di chi, senza averglielo mai chiesto, oggi lo finanzia: i contribuenti sardi.
Tra le spese rendicontate alla Regione compare persino l’iniziativa “Ti metto in bici”, una campagna dal sapore simbolico che nulla ha a che fare con lo sviluppo economico e sociale della Sardegna. Un’immagine perfetta: i cittadini restano a piedi, mentre il sindacato pedala grazie alle loro tasse.
A questo punto a Fausto Durante non resta che fare un biglietto di sola andata da dove l’hanno mandato, magari per mettersi a scrivere libri insieme a Maurizio Landini. Ma quella, come direbbe lo stesso Landini, è “Un’altra storia”, una storia che poco o nulla ha a che fare con i veri interessi dei lavoratori, dei contribuenti sardi e della povera gente.
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