Nel solito copione tristemente noto, la CGIL torna ad accusare il governo di fare cassa sulle spalle dei pensionati. La segretaria confederale ha dichiarato che, nonostante le promesse elettorali, la Meloni ed i suoi ministri sembrano decisi a smantellare il sistema pensionistico. Sebbene la denuncia poggi su basi solide è altrettanto vero che questo lamento, ripetuto anno dopo anno senza alcun risultato concreto, suona ormai come un disco rotto. Una litania priva di significato, che ha anzi avuto l’effetto di incoraggiare tutti i governi che si sono succeduti a continuare sulla stessa strada.
Lo studio della CGIL evidenzia come le pensioni continueranno a perdere potere d’acquisto nel triennio 2023-2025. Per esempio, una pensione di 1.732 euro subirà una riduzione complessiva di 968 euro, mentre una pensione di 2.646 euro vedrà un taglio di ben 4.534 euro. Perdite così gravi si sommano a quelle già subite, con un impatto devastante sui pensionati. Tuttavia, la strategia del sindacato, che sembra sempre più simile a quella del “pianto del coccodrillo” resa famoso da Elsa Fornero, si dimostra inefficace: lacrime pubbliche e dichiarazioni enfatiche non alleviano il dolore dei tagli contenuti in tutte le manovre finanziarie.
Dal 2011, la CGIL si presenta come la paladina di una giusta riforma delle pensioni, ma i risultati dimostrano il contrario. Il sindacato sembra essersi adattato a convivere con le stesse politiche che afferma di combattere. Se l’obiettivo è stato realmente quello di ottenere un cambiamento, allora il fallimento e l’irrilevanza dell’azione sindacale è evidente.
Intendiamoci: la CGIL fa bene a denunciare i tagli alle pensioni e la sottrazione di risorse, ma facendolo senza mai mettere realmente in difficoltà chi governa, altro non ottiene che dimostrare la sua ipocrisia. La protesta rimane sempre priva di conseguenze palpabili. Questo perché il sindacato si è trasformato in una macchina burocratica, più preoccupato di difendere le proprie risorse finanziarie che i diritti dei lavoratori. I fondi vengono raccolti attraverso i contributi che lo Stato garantisce, permettendo al sindacato di operare come una mega centrale di consulenze. Non solo, le quote sindacali, prelevate automaticamente dalle buste paga e dalle pensioni, vanno a sostenere una struttura che sembra ormai distante dagli interessi di chi dovrebbe difendere. Questo sindacato non è più in grado di produrre alcun cambiamento significativo; se tirasse davvero troppo la corda con il governo e le contro parti, questa si spezzerebbe, facendolo cadere irrimediabilmente.
No, non funziona. Purtroppo, ogni tentativo di cambiamento interno viene represso. Chiunque ci provi viene emarginato, perseguitato, o addirittura espulso e licenziato. Questo stato di cose ha trasformato le lotte di un tempo in una farsa, con pensionati e lavoratori che continuano a pagare il prezzo di una fiducia ormai mal riposta. Le parole di Luciano Lama, che una volta sosteneva che il sindacato era una radice inamovibile, suonano molto lontane.
Peraltro, tutte le buone organizzazioni create dall’uomo contengono in sé il principio della loro fine, ed é assolutamente giusto che così sia. Infatti, uno strumento viene costruito per il raggiungimento di uno scopo, e una volta conseguito dovrebbe essere messo via. Ma la CGIL, tradendo i suoi scopi originari, prolunga l’esistenza proprio grazie alla sua incapacità di risolvere i problemi. Se un’organizzazione nasce con uno scopo, una volta raggiunto, non ha più motivo di esistere. In altre parole, per quanto paradossale possa sembrare, il sindacato trae più vantaggi attraverso la sua inconsistenza e inefficienza che nella soluzione delle problematiche che dice di volere risolvere.
Un sindacato degno di questo nome dovrebbe lottare con fermezza per difendere i diritti dei lavoratori e dei pensionati. Dovrebbe essere un vero attore sociale. La CGIL, invece, si limita a produrre studi e analisi, perdendo di vista la propria missione originaria. Non è più un soggetto politico attivo, ma una macchina inefficiente che sforna consulenze mediocri. A 13 anni dall’entrata in vigore della riforma Fornero, che peraltro è passata grazie alla sua mal celata condiscendenza, quasi nulla ha ottenuto. Andare in pensione è sempre più un miraggio, e quando ci si arriva gli assegni corrisposti sono di molto limitati e continuamente erosi. Chiunque voglia davvero sperare in una condizione migliore per se e la propria famiglia, dovrà capire che senza demolire questo modello sindacale non ci sarà nulla da sperare.