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Temi del lavoro
26 Maggio 2025
Una mano inserisce una scheda rossa con la scritta 'REFERENDUM CGIL' in una trappola per topi, simbolo del pericolo nascosto dietro la proposta referendaria promossa dalla CGIL
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Referendum: una trappola per i lavoratori

Comunque vada, i lavoratori hanno già perso. E la responsabilità ha un nome preciso.

La CGIL ha lanciato il suo referendum sul lavoro con la promessa di riportare in vita l’articolo 18. Manifesti, slogan, cortei e parole a propulsione: tutto sembra fatto per illudere i lavoratori che basti una croce su una scheda per tornare a un passato di maggiori tutele. Ma dietro questa campagna si nasconde una verità semplice e brutale: è una trappola. E chi ci rimetterà, ancora una volta, saranno proprio i lavoratori.

Il quesito referendario non prevede il reintegro automatico nei casi di licenziamento illegittimo, non reintroduce l’articolo 18 e, secondo diverse letture tecniche, potrebbe perfino ridurre gli indennizzi minimi attualmente previsti. Un boomerang giuridico e politico. E nonostante ciò, la CGIL continua a sostenere il contrario, promuovendo una comunicazione ambigua e fuorviante, che illude e confonde.

A rendere tutto più grottesco è il fatto che oggi sostengano questa iniziativa anche ambienti politici che in passato hanno contribuito a smantellare quelle stesse tutele, ora rispolverate in chiave elettorale. Un ribaltamento della realtà degno della peggior commedia.

I lavoratori perdono in ogni scenario

Come gruppo, non invitiamo a votare né sì né no, né a partecipare né a disertare. Ma possiamo affermarlo con certezza: i lavoratori hanno già perso, nel momento stesso in cui la CGIL ha scelto questa via.

  • Se non si raggiunge il quorum, sarà un segnale di disinteresse che il mondo politico interpreterà come un “lasciamo tutto com’è”.
  • Qualora vincessero i “no”, diventerà un pretesto per non reintrodurre più nulla: “Perché cambiare una norma che il popolo ha appena confermato?”
  • Anche nel caso in cui prevalgano i “sì”, il risultato non sarebbe il ritorno alle vecchie tutele, ma una normativa confusa, indebolita, che potrebbe peggiorare le condizioni attuali.

In ogni caso, il danno è fatto: il dibattito sulle vere riforme è stato cancellato, le energie dei lavoratori sono state deviate, la credibilità del sindacato è stata compromessa.

Il volto del fallimento ha un nome: Maurizio Landini

Il responsabile principale di questa operazione è chiaro: Maurizio Landini.

Di fronte a un problema reale, ha scelto di trasformarlo in una campagna personale, fondata sull’illusione e sulla propaganda. Invece di contrattare con onestà, ha preferito illudere i lavoratori con promesse irrealizzabili. E così, trascinando la CGIL in una scommessa senza ritorno, ha fatto spendere milioni allo Stato per un referendum che non risolverà nulla.

Questa iniziativa offrirà ai legislatori un alibi perfetto per non tornare a discutere di tutele“Gli italiani non le vogliono,” diranno. Così nessuno potrà più replicare con credibilità.

Il bluff di Landini: un’operazione personale mascherata da battaglia collettiva

Forse la cosa più meschina di tutte è che Landini, pur sapendo perfettamente che il quorum era altamente improbabile, ha voluto tirare dritto lo stesso. Ha giocato la sua partita come un pokerista esperto, puntando tutto su un blef colossale: far passare i voti raccolti come patrimonio personale spendibile in chiave politica.

L’esito reale del referendum non è la sua priorità. Il suo vero obiettivo sembra essere rivendicare ogni voto come proprio capitale politico, pronto a esibirlo quando, come molti sospettano, Landini deciderà di candidarsi. In quest’ottica, ogni croce sulla scheda rappresenta per lui un credito da incassare per sedersi a un altro tavolo: non quello della contrattazione sindacale, ma quello della politica di professione.

Intanto i lavoratori, usati come pedine in una partita che non hanno scelto, pagano il conto: meno diritti, più solitudine, e un sindacato ridotto a megafono personale del suo leader.

Un tradimento che pesa sulle spalle dei lavoratori

Non è questa la via della giustizia sociale. Difendere i lavoratori non significa illuderli. Non si combattono le disuguaglianze con i bluff, né si tutelano i diritti con finzioni orchestrate.

Landini non ha difeso i diritti. Li ha barattati per la propria visibilità. E questo tradimento, prima ancora che politico o sindacale, è morale.

AUTORE CGL
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