Home » Scandalo CGIL: Fabio Marante il Segretario che viola lo statuto
L’opinione
16 Novembre 2025
immagine simbolica di un documento rosso che si strappa, con una crepa centrale che rappresenta lo scandalo interno al sindacato e il caso Fabio Marante
7 MINUTI DI LETTURA

Scandalo CGIL: Fabio Marante il Segretario che viola lo statuto

Per anni, nella CGIL, il nome di Fabio Marante Segretario della CGIL Liguria, è stato associato alla legalità. Parlava di controlli nei cantieri, di trasparenza, di regole da rispettare sempre. Da questo profilo è nata la sua ascesa: prima nella FILT il sindacato dei trasporti, poi con un balzo è “approdato” in FILLEA, (categoria degli edili), poi ancora come responsabile organizzativo della CGIL Liguria e Genova, infine come presidente del Comitato di Garanzia, l’organo che dovrebbe far applicare lo Statuto e tutelare gli iscritti.

Ma osservando i fatti degli ultimi anni, la narrazione ufficiale mostra crepe profonde. Tra decisioni interne poi smentite dai tribunali, omissioni amministrative prolungate e anomalie nei procedimenti disciplinari, emerge un quadro molto diverso da quello proposto pubblicamente. Chi conosce davvero il funzionamento delle strutture sindacali sa bene che certi segnali non compaiono per caso.

Quando l’antifascismo diventa moneta di carriera

È in questo contesto che prende forma il percorso di Fabio Marante. Nella CGIL ligure si era costruito l’immagine del dirigente rigoroso. La sua carriera parte dalla FILT passando per la FILLEA genovese, in un ambiente che ha formato un’intera generazione di quadri. Da quella stessa filiera proviene Fabiano Mura, sindacalista che nell’aprile scorso denunciò un’aggressione fascista a Sestri Ponente.

La notizia fece il giro dei media in poche ore e si trasformò rapidamente in un caso nazionale. Gli accertamenti degli inquirenti hanno però smentito quella versione e, a novembre, è arrivata anche la condanna di Mura, ritenuto responsabile della simulazione dell’episodio.

Un epilogo così netto non può non aprire interrogativi sul clima culturale in cui quella storia è maturata.
A questo punto una riflessione diventa inevitabile: Marante, figura centrale in quegli anni, non può non aver contribuito alla formazione sindacale di Mura. Non si parla di responsabilità diretta nell’episodio, ma di un contesto in cui quel comportamento è maturato. E quel contesto nasce in un ambiente che Marante ha guidato, rappresentato e che oggi porta sulle spalle domande che non si possono più eludere.

Lo strano concetto di giustizia del signor Marante

Se sul piano formativo l’esempio dato da Marante non sembra aver lasciato un segno positivo, è sul terreno della giustizia interna che si coglie la vera direzione verso cui ha condotto l’organizzazione. Proprio in quell’area, che dovrebbe garantire equilibrio, trasparenza e imparzialità, affiora qualcosa che disorienta, sorprende e, inevitabilmente, indigna.

All’interno della CGIL il Comitato di Garanzia presieduto da Marante rappresenta il vertice del sistema disciplinare. È la sede in cui lo Statuto dovrebbe pesare più delle appartenenze, delle carriere e dei rapporti di forza. È anche il luogo dove ci si aspetta che le regole vengano applicate con la stessa serietà con cui vengono proclamate nelle piazze e nei congressi.

Nella struttura confederale questo organo funziona come una vera e propria cartina di tornasole. Se la sua trasparenza si oscura, tutto il resto dell’impalcatura democratica perde coerenza. Ed è proprio in quel momento che l’immagine di democrazia che la CGIL attribuisce a se stessa smette di reggere alla prova dei fatti.

Gli esposti presentati dal figlio del lavoratore espulso dalla CGIL e licenziato illegittimamente avrebbero richiesto un’attenzione rigorosa. Nel frattempo, fuori da quelle stanze, la magistratura della Repubblica aveva già chiarito tutto: una serie di sentenze definitive, passate in giudicato, aveva stabilito che quel licenziamento e quelle espulsioni erano illegittimi. Decisioni nette, frutto di un esame accurato dei fatti.

È un principio di diritto così elementare da non poter essere equivocato: una sentenza definitiva si rispetta, non si riscrive. È vincolante per chiunque. Nessun organo interno, nemmeno quello di garanzia della CGIL, può ignorare ciò che lo Stato ha già stabilito in modo irrevocabile.

Perché un licenziamento non può essere dichiarato illegittimo senza che un giudice entri nel merito dei fatti. È impossibile, contrario alle regole stesse del processo. È il primo concetto che si impara studiando diritto.

Il momento in cui la verità si spezza in due

Eppure il Comitato di Garanzia presieduto da Marante arriva ad affermare l’esatto contrario: che quei giudici non sarebbero entrati nel merito.

Così nasce un contrasto che stona con la logica prima ancora che con la legge. Da una parte c’è la giustizia dello Stato, che ha ricostruito i fatti e ha riconosciuto l’illegittimità di licenziamento ed espulsioni con sentenze definitive, passate in giudicato. Dall’altra parte c’è la giustizia interna della CGIL, che presenta una versione completamente diversa. Due letture opposte dello stesso episodio, in un divario che solleva più domande che risposte.

Ma c’è un aspetto ancora più grave.

La decisione con cui vengono respinti gli esposti non risulta adottata collegialmente dai membri del Comitato, gli unici soggetti legittimati a farlo. Quel provvedimento risulta redatto da un soggetto esterno, una persona che lo Statuto non autorizza a decidere e che non appartiene all’organo disciplinare. L’autore materiale di quel testo, evidentemente, non immaginava che quell’operazione compiuta fuori dalle regole sarebbe prima o poi emersa.

E questo apre un ulteriore interrogativo, che non riguarda solo la correttezza interna ma anche la legge. Gli atti del Comitato di Garanzia sono documenti sottoposti a un regime preciso di riservatezza: la CGIL non può diffonderli né farli circolare al di fuori degli organi competenti, né per Statuto né per le norme sulla privacy.

Resta dunque da capire come atti riservati, protetti da tale regime, siano usciti dal perimetro autorizzato fino a raggiungere il computer del soggetto esterno dal quale sono stati materialmente redatti, perché è stato lui — e non il Comitato — a battere sui tasti della tastiera che hanno prodotto il testo con cui sono stati respinti gli esposti relativi alle espulsioni e al licenziamento dichiarati illegittimi dalla magistratura.

È un punto che il presidente Marante dovrebbe chiarire in modo trasparente, anche perché proprio quel soggetto ha finito per generare un documento che il Comitato di Garanzia — dallo stesso Marante presieduto — avrebbe dovuto redigere e valutare direttamente.

Eppure quel documento porta proprio la firma di Fabio Marante, il presidente dell’organo disciplinare. Un ruolo che rende il firmatario responsabile dell’intero procedimento. E allora una domanda si impone:
com’è possibile che un presidente firmi un atto tanto anomalo senza esserne pienamente consapevole?

Quando anche la trasparenza si spezza

Il percorso che porta alle contraddizioni del Comitato di Garanzia si riverbera anche sul terreno amministrativo, aprendo un secondo fronte che riguarda direttamente la figura di Fabio Marante. Perché non è solo il presidente del Comitato di Garanzia: è anche un dirigente apicale della CGIL Liguria, con il ruolo di responsabile organizzativo.

E in questa doppia funzione diventa impossibile ignorare la totale assenza di bilanci pubblicati negli ultimi sette anni. Consultando gli archivi pubblici della CGIL Liguria non risultano pubblicati i bilanci degli esercizi dal 2018 al 2024. Sette anni consecutivi. Non un incidente. Non un ritardo casuale. Un vuoto documentale che, mentre scriviamo questa inchiesta, non risulta ancora riempito. E siamo già a ottobre.

E qui la questione non è solo tecnica. La Legge 124/2017 sulla trasparenza, impone la pubblicazione dei contributi pubblici, mentre lo Statuto della CGIL, dal 2019, ribadisce l’obbligo di rendere accessibili i bilanci delle strutture e dal 2023 obbliga le strutture a pubblicarli sui propri siti internet. Due obblighi distinti — uno imposto dallo Stato, l’altro stabilito dall’organizzazione stessa — che convergono su un principio elementare: chi amministra risorse dei lavoratori deve farlo alla luce del sole. O dobbiamo pensare che, anche in questo caso, come per le sentenze della magistratura, l’operato della CGIL — la stessa CGIL che chiede alle imprese e alle controparti di rispettare le regole — ritenga di potersi collocare al di sopra di tutto e di tutti?

Una domanda che diventa inevitabile quando il comportamento ricorda da vicino la celebre battuta del Marchese del Grillo: «io so io…». Ma qui non siamo in un film, e Fabio Marante non è nemmeno il Grillo parlante di Collodi: è il dirigente che quelle leggi, quelle norme e quello Statuto dovrebbe osservarli per primo.

Ed è proprio qui che nasce la contraddizione più evidente.

Perché Fabio Marante, in qualità di presidente del Comitato di Garanzia della CGIL, è la figura chiamata a verificare che lo Statuto venga rispettato da tutti. E quello stesso Statuto stabilisce con chiarezza che la mancata pubblicazione dei bilanci costituisce una violazione disciplinare.

La domanda, allora, è inevitabile: cosa dovrebbe fare adesso il presidente dell’organo preposto a sanzionare le violazioni statutarie, considerando che la violazione riguarda proprio lui?

La risposta, secondo lo Statuto, è semplice e inevitabile. Se i bilanci non sono stati pubblicati per sette anni, la responsabilità ricade su chi ha gestito l’organizzazione in tutto questo periodo. Perché l’obbligo non riguarda solo il bilancio dell’anno in corso: ogni esercizio finanziario deve essere reso pubblico, anche quelli passati. E oggi, mentre scriviamo, quella omissione rimane interamente insoluta.

In Liguria, questo quadro coinvolge due piani distinti: la direzione politica del segretario generale Maurizio Calà e la responsabilità organizzativa affidata a Fabio Marante, chiamato a garantire proprio la corretta applicazione delle norme interne.

Questa omissione pesa sempre sulla valutazione della trasparenza amministrativa, perché lo Statuto non fa eccezioni: le regole valgono per tutti, compreso chi deve farle rispettare. Ed è proprio qui che si misura la distanza tra l’immagine pubblica di Marante — quella del dirigente rigoroso, attento alle irregolarità — e ciò che emerge dai fatti.

Lo scopriremo se saprà trarre le dovute conseguenze, dopo essersi davvero confrontato con le norme che regolano l’organizzazione: lo Statuto che deve far rispettare a tutti, il Codice Etico che dovrebbe incarnare e la trasparenza che rivendica in pubblico, ma che i fatti recenti non sembrano confermare. Perché di fronte a una violazione così chiara non c’è spazio per interpretazioni parallele: o la regola vale per tutti, oppure la regola non esiste.


Il contesto che il Comitato di Garanzia ha ignorato

Quello emerso nel caso Marante non è un episodio isolato. Nel corso del tempo, il Comitato di Garanzia da lui presieduto è stato più volte chiamato — esposto dopo esposto — a valutare comportamenti e responsabilità gravi, ma non è mai intervenuto. Le vicende raccolte in questi articoli definiscono il contesto in cui quel Comitato ha agito, e aiutano a comprendere perché oggi si parli di uno “scandalo”.

Autore: CGL
Condividi sui social
Come Gestire i Licenziamenti - CGL
Il Gruppo CGL, nato dall'ingiusta espulsione di voci sindacali indipendenti, sfida le manipolazioni e difende i diritti dei lavoratori. Unisciti alla nostra lotta per la trasparenza e la giustizia.
Guarda la conferenza stampa