
Immaginate un operaio in uno stabilimento metalmeccanico. Ogni giorno lavora su componenti che finiscono nell’industria della guerra: parti di aerei, blindati, sistemi elettronici, ordigni di ogni genere. Non lo fa per scelta, ma per necessità. È il lavoro che gli permette di mantenere i figli, mentre in Medio Oriente e in altre parti del mondo intere famiglie e bambini vengono sterminati.
Ora la FIOM-CGIL lo chiama a fermarsi per quattro ore, il 19 settembre, per dire “basta alle armi” e protestare contro il genocidio a Gaza. Ma senza un piano di riconversione industriale, senza un progetto che trasformi quelle produzioni belliche in civili, lo sciopero resta un rito amaro. È come chiedere all’operaio di scioperare contro se stesso. Rinunciare al suo salario, mentre i vertici sindacali si fanno belli ritagliandosi visibilità politica, o sbarcando perfino su TikTok con canali a pagamento.
Approfondisci leggendo il nostro articolo dedicato su scandalo CGIL
Così si apre un altro autunno sindacale, che Landini ha promesso di “incendiare” nella conferenza stampa di ieri come “nuova stagione di lotta”. In realtà sarà più inutile che caldo: tante parole, nessun risultato concreto. Del resto i conti non tornano nemmeno dentro la sua stessa organizzazione: le sue dichiarazioni sui nuovi iscritti alla CGIL cozzano con i numeri reali. Solo tramite il nostro sito si registrano 46.531 tessere cancellate in meno di un anno.
Insomma, dire “pace subito” senza scalfire la macchina della guerra europea significa prendere in giro chi lavora. La CISL e la UIL, dal canto loro, restano in silenzio: non hanno il coraggio di una battaglia vera, ma almeno evitano la ridicolaggine di chi grida pace mentre nelle fabbriche si continuano a produrre bombe e carri armati.
La sproporzione tra gli slogan sindacali e la realtà si misura nei numeri. L’industria della guerra in Italia vale circa 16 miliardi di euro e impiega più di 159.000 addetti, tra occupazione diretta, indiretta e indotto.
Le autorizzazioni all’export di armamenti hanno superato nel 2024 i 7,6 miliardi di euro, con un incremento del 57% in due anni. Non sono tutte forniture già consegnate, ma il dato fotografa comunque una crescita impressionante dell’Italia come fornitore globale di sistemi bellici.
Lo Stato non resta a guardare: la Legge di Bilancio destina miliardi al settore, includendo nuove commesse e programmi di potenziamento dell’industria bellica. Questi flussi di denaro alimentano la macchina della guerra e garantiscono ai grandi gruppi industriali e finanziari affari d’oro sulla pelle dei popoli.
In questo contesto, proclamare quattro ore di sciopero sembra una caricatura. Landini ribadisce che la CGIL è contraria ai programmi europei che rafforzano l’industria bellica. Ma lo fa con un comunicato che non disturba i veri padroni.
Sono quelli che controllano in gran parte anche il sistema mediatico. Un apparato di informazione compiacente che gli offre spazio per le sue dichiarazioni senza mai contestare il vuoto di proposte. Senza piattaforme precise, senza vertenze dure, senza un piano di riconversione, le sue parole restano prive di efficacia. E a pagare il prezzo sono sempre i lavoratori: salari sacrificati in scioperi che non producono alcun cambiamento reale.
Il giorno prima dello sciopero della FIOM-CGIL, il 18 settembre, Maurizio Landini sarà in Sardegna per un’assemblea dal titolo altisonante. “Una nuova agenda sociale per la Sardegna e per l’Italia”. Accanto a lui ci sarà Fausto Durante, segretario regionale della CGIL, paracadutato dal continente senza arte né parte. La sua presenza, agli occhi di molti lavoratori isolani, non richiama conquiste sindacali, ma una lunga sequenza di sconfitte.
Ha perso la battaglia contro la de-industrializzazione già prima di approdare a Cagliari. I poli come Porto Torres e Ottana sono ridotti a gusci vuoti anche grazie a lui. Migliaia di posti di lavoro sono svaniti insieme a promesse che non hanno retto, come quella della cosiddetta chimica verde. Pare che si stia seriamente impegnando per ottenere gli stessi risultati anche nel Sulcis Iglesiente.
Ha perduto la battaglia contro la disoccupazione, che in Sardegna resta vicina al 10%, con punte drammatiche tra giovani e donne. Il tasso di occupazione femminile è fermo al 52%, ben sotto la media nazionale. Per non parlare dello sfascio della sanità, con ospedali in agonia, reparti ridotti e tempi d’attesa interminabili. Sta perdendo, in buona compagnia, la sfida dello spopolamento, che svuota i paesi interni, chiude scuole e servizi e condanna intere comunità all’abbandono. Non è pervenuto nemmeno sul fronte delle infrastrutture, con trasporti che continuano ad essere carenti isolandoci dal resto del Paese.
E come se non bastasse, Fausto Durante non fa altro che firmare accordi di facciata, come l’ultimo sulla sanità dello scorso 4 agosto, presentato come una svolta. Già contestato dagli stessi operatori, dai comitati locali e persino dal suo stesso sindacato, che di fatto gli sciopera contro. Un intesa che non ha portato risorse né soluzioni e che con ogni probabilità resterà lettera morta.
Così il segretario della CGIL Sardegna è l’esempio dell’inefficienza. Un sindacalista con tratti di incoerenza molto sviluppati, non solo incapace di affrontare i problemi veri, ma anche di apparire minimamente credibile. Landini, con la sua insopportabile demagogia, ne è il riflesso nazionale: stesso copione, stesse parole, stesso vuoto di risultati.
L’assemblea del 18 settembre rischia di ridursi all’ennesima passerella. Ci attendiamo discorsi altisonanti utili ai giornali compiacenti, ma senza ricadute reali per i lavoratori. Alla fine, Fausto Durante rischia di vincere una sola battaglia: quella delle pale eoliche, che stanno devastando il paesaggio e mettendo in ginocchio l’agro-zootecnia dell’isola, con l’aggravante della penetrazione delle mafie.
Il 18 e il 19 settembre non cambieranno nulla. La FIOM-CGIL chiamerà a scioperare per la pace, ma la guerra continuerà a riempire le fabbriche di ordini per le armi. I i bilanci dello Stato si svuoteranno a nostre spese, togliendoci diritti e rendendoci sempre più poveri. In Sardegna, Maurizio Landini e Fausto Durante metteranno in scena un’altra passerella, tra discorsi e promesse a cui nessuno più bada.
Resteranno soltanto i sacrifici dei lavoratori: salario perso, tempo sprecato, illusioni svanite. È questo il volto di un sindacato che parla di pace, ma nei fatti si muove contro gli Italiani e i Sardi.