Landini e il business del libro: il Segretario incassa i diritti d’autore.
Il libro intitolato Un’altra storia porta la firma del segretario generale della CGIL Maurizio Landini. Nelle intenzioni dell’autore dovrebbe essere il racconto epico di una vita spesa al servizio della giustizia. Si tratta di un’autonarrazione fondata sull’idea del sacrificio personale e di un impegno politico totale. Il sacrificio autentico è invece quello degli iscritti che non pagano la tessera per portare vantaggi personali al segretario. In questo contesto, il titolo “Un’altra storia” osservato alla luce dei fatti finisce per stridere come il gesso sulla lavagna. Un rumore secco, immediato, capace di infastidire persino un sordo.
Bisogna adottare lo sguardo attento di chi conosce i meccanismi invisibili del potere dell’apparato sindacale. Solo mettendo a fuoco la scena della pubblicazione emerge il vero profilo del capo del sindacato. Egli continua a indossare i panni del giustiziere sociale ma compie scelte che producono vantaggi personali. Certi benefici vanno oltre l’interesse dei lavoratori e contrastano con l’immagine dell’eroe sociale che si vorrebbe dare.
Per comprendere la reale consistenza del personaggio basta osservare il contesto specifico in cui nasce il suo libro. Lo sguardo deve posarsi sul modo in cui questo testo viene sostenuto e poi fatto circolare. È in questo snodo preciso che il profilo pubblico del dirigente diventa leggibile senza ulteriori spiegazioni. Lavoratori e cittadini hanno il sacro diritto di interrogarsi su cosa orienti le scelte di un leader. Egli imperversa quotidianamente su giornali e tv mentre le sue decisioni ricadono sulla loro vita concreta.
I libri autobiografici come il suo finiscono spesso per servire soprattutto alla vanità di chi li scrive. Le parole usate quando sono rivolte a se stessi spiegano raramente ciò che conta davvero per noi. Ai lavoratori servono i fatti concreti e non l’auto narrazione di chi si mette in mostra. Peraltro questa operazione editoriale garantisce all’autore un evidente e tangibile vantaggio economico di natura personale.
A nostro modo di vedere un sindacalista degno di questo nome dovrebbe sostenersi con lo stipendio come tutti. Se poi decidesse di fare gli straordinari scrivendo libri, non dovrebbero essere gli operai a pagarglieli con i soldi delle tessere che versano al sindacato. Altro che vita di sacrifici: paradossalmente è proprio il titolo del libro ad assumere un significato del tutto inatteso. Questa non è la storia che Maurizio Landini racconta di sé, ma quella che le sue scelte mostrano. Ma adesso è arrivato il momento di analizzare direttamente i fatti concreti di questa vicenda.
Una pubblicazione che vive grazie all’apparato
Il libro di Maurizio Landini intitolato Un’altra storia è formalmente presente sugli scaffali delle librerie italiane. Tuttavia, la sua presenza fisica nei negozi non deve trarre in inganno rispetto alla sua vera natura commerciale. Difficilmente questo volume potrebbe scalare le classifiche di vendita contando solo sugli acquisti spontanei dei lettori comuni. Il suo vero e unico bacino di riferimento è rappresentato dalla struttura interna del sindacato stesso. La CGIL è un’organizzazione vasta composta da funzionari retribuiti grazie ai soldi versati da milioni di iscritti. Le risorse arrivano direttamente e indirettamente anche dallo Stato, dalle Regioni e spesso anche dai Comuni.
A questi si aggiungono i dipendenti delle strutture confederali e i delegati con permessi sindacali attivi. Esiste poi una massa incredibile di pensionati che operano stabilmente e a tempo pieno nell’organizzazione. Stiamo parlando di una platea che per quanto ne sappiamo non è inferiore a 75.000 persone fisiche reali. Si tratta di una stima prudente ma sufficiente a comprendere il reale ordine di grandezza numerico. All’interno di questo vasto mondo sindacale convivono realtà operative e umane molto diverse tra di loro.
Una parte significativa dei militanti agisce in perfetta buona fede, spinta da convinzioni ideali autentiche. Ci sono persone che dedicano tempo ed energie con responsabilità senza alcun tornaconto personale o economico. Accanto a questa base si è consolidato nel tempo un livello distinto di dirigenti e funzionari. Esiste una casta autoreferenziale di mestieranti sindacalisti che governa l’organizzazione dall’alto verso il basso riproducendo sé stessa. Molti militanti di base ignorano questo meccanismo in quanto è distante dall’esperienza concreta maturata nel mondo del lavoro. Molti di loro per un’intera vita si sono dovuti sottomettere alla dura logica del mercato. Ora devono sottostare a un potere schermato che rende quasi impenetrabile la distinzione tra impegno ideale e interesse personale.
In questo scenario la vivida luce degli ideali degli ingenui viene riflessa per nascondere le cupe ombre. Stiamo parlando di un apparato burocratico che si sta progressivamente trasformando in una casta sempre più chiusa. È solo dentro questa lettura della realtà che il libro del segretario generale va collocato. Il volume smette di essere un testo politico di spessore per divenire sottile come foglia al vento. Non importa, esso diviene comunque una strenna natalizia sia per chi lo riceve sia per l’autore. Gli uni continuano ad alimentarsi di ideali ormai morti mentre l’altro gode degli incassi delle vendite. Questi proventi andranno ad aumentare il già lauto stipendio percepito dal segretario generale di quella che fu la grande CGIL.
CGIL: il capo “scrive” e Pantalone paga
Il volume del segretario non costituisce una risorsa collettiva e non arriva come un omaggio disinteressato. Esso rappresenta un costo per le strutture che decidessero di acquistare il libro utilizzando risorse interne. Il fondo comune è un patrimonio sacro che appartiene a tutti gli iscritti e non ai dirigenti. Esso è formato dalle quote versate dai lavoratori, ma anche da ingenti rimesse pubbliche. La spesa viene registrata nei bilanci ma il carico reale grava su iscritti e cittadini contribuenti.
Al segretario generale non serve firmare ordini di servizio per attivare la potente macchina organizzativa del sindacato. La scelta di un editore esterno serve a garantire un profitto personale che l’editoria interna evidentemente non permette. Il meccanismo si regge su codici non scritti ma perfettamente oliati da ogni livello della gerarchia sindacale.
Le strutture territoriali recepiscono i desideri del vertice senza bisogno di attendere disposizioni formali o circolari scritte. Tutto lascia supporre che le strutture che decidessero di acquistare il libro utilizzeranno le proprie risorse interne. Nessuno può dire con esattezza quante lo faranno, ne quante copie verranno effettivamente acquistate. Non importa, la questione etica rimarrebbe gravissima anche nell’ipotesi remota in cui una sola struttura, tra le miglia esistenti, ne acquistasse una singola copia.
È il caso specifico che stiamo prendendo in considerazione a svelarci un metodo di gestione opportunistico. Non siamo davanti a un episodio isolato ma al funzionamento di un meccanismo consolidato nel tempo. Il vertice sfrutta la propria posizione dominante per attivare procedure che finiscono per produrre vantaggi personali. La spesa viene socializzata sugli iscritti mentre il guadagno resta nelle tasche dei singoli dirigenti. I lavoratori continuano a versare le proprie quote convinti di sostenere un’organizzazione nata per difenderli davvero. Molti ignorano purtroppo di alimentare con i propri soldi un sistema che tutela soprattutto sé stesso.
La manna che non cade dal cielo
Il libro non avanza sulle proprie gambe ma viene spinto dalla forza pervasiva dell’apparato organizzativo della CGIL. È innegabile che la promozione sfrutti strutture e personale finanziati esclusivamente dalle quote versate dagli iscritti. La prassi delle copie omaggio sposta risorse dall’organizzazione alle tasche private dell’autore attraverso i diritti d’autore. Un’opera privata si trasforma così in una strenna natalizia sostenuta direttamente dal cuore pulsante del sindacato.
Questo sostegno massiccio comporta inevitabilmente dei costi diretti o indiretti che ricadono sul fondo comune degli iscritti. Negare tali oneri significherebbe smentire l’evidenza delle numerose iniziative già svolte sui territori a favore del libro. Precisiamo con forza che il testo di Maurizio Landini non è affatto un libro della CGIL. Pertanto analizzare il profilo economico della vicenda, pur con con la dovuta prudenza, diventa un atto di trasparenza doveroso. Le royalty standard riconosciute agli autori nel mercato editoriale oscillano solitamente tra l’8 e il 10 per cento. Un libro venduto intorno ai 20 euro genera quindi circa 2 euro netti a copia per l’autore.
Non intendiamo muovere accuse infondate ma vogliamo solo difendere il sacrosanto diritto alla conoscenza degli iscritti. Ogni lavoratore deve poter sapere con assoluta esattezza come vengono spesi i soldi della propria tessera sindacale. L’attuale opacità dei bilanci rende non solo legittimo ma assolutamente necessario avanzare delle ipotesi realistiche. Considereremo la nostra stima attendibile finché Maurizio Landini non deciderà di rivelare pubblicamente i dati reali. Applicando i parametri di mercato a un’organizzazione così vasta emergono cifre che fanno riflettere chiunque. Una vendita ipotetica di 30.000 copie genererebbe un guadagno personale tra i 45.000 e i 60.000 euro. Se le copie vendute fossero 50.000 la cifra salirebbe rapidamente fino a 100.000 euro di incasso netto. Con 75.000 copie il guadagno stimato per l’autore toccherebbe la cifra complessiva di 150.000 euro.
Il ricorso alle stime è obbligato perché la stragrande maggioranza delle strutture territoriali non pubblica i bilanci. Stiamo parlando di circa 2.500 centri di costo che spesso non offrono alcuna trasparenza reale sulla gestione dei conti. Questa opacità impedisce agli iscritti di verificare come vengono spesi realmente i soldi della loro contribuzione. Tutto questo avviene in netto contrasto con le norme vigenti sulla trasparenza interna delle organizzazioni sindacali. Tuttavia il punto politico fondamentale non risiede nemmeno nell’ammontare esatto della cifra ipotizzata per l’incasso delle vendite a favore del segretario.
Anche se un solo euro fosse arrivato a Maurizio Landini grazie al fondo comune il problema resterebbe. Quel singolo euro basterebbe a qualificare il comportamento del segretario per ciò che realmente rappresenta oggi. Stiamo parlando dell’uso improprio di risorse collettive per sostenere un beneficio strettamente personale e privato.
Futura: l’editore ignorato dal suo capo
La situazione si aggrava notevolmente se consideriamo che la CGIL possiede da tempo una propria casa editrice. Questa struttura si chiama Futura e viene finanziata direttamente con i soldi prelevati dalle tessere degli iscritti. I bilanci della società versano purtroppo da molti anni in una condizione di grave difficoltà economica. Il suo mantenimento in vita ha un costo elevato che grava sulle spalle dei lavoratori. Un segretario responsabile dovrebbe pubblicare con l’editore interno per risanarne i conti e rafforzarlo economicamente.
Sarebbe stata una scelta coerente e persino doverosa per contribuire a ridurre il peso del debito. Tuttavia il libro Un’altra storia non segue questa strada virtuosa e noi ci domandiamo il perché. Pubblicare con la casa editrice Futura avrebbe escluso qualunque beneficio economico personale per l’autore del testo. Futura è parte integrante della CGIL e ogni ricavo sarebbe rimasto all’interno dell’organizzazione sindacale. Riteniamo che la scelta esterna serva a garantire un tornaconto personale altrimenti impossibile per il segretario.
Solo uscendo da Futura i soldi degli iscritti usati per la promozione diventano un vantaggio personale. Dentro la casa editrice della CGIL le risorse resterebbero collettive mentre fuori prendono un’altra direzione.
La sua strenna natalizia ha preso una direzione diversa e non ha rafforzato l’organizzazione che rappresentava. Le quote degli iscritti servono a tenere in piedi una casa editrice interna in difficoltà cronica. Il libro è confluito in un circuito esterno che si è giovato del sostegno dell’apparato sindacale. Ciò ha prodotto un vantaggio personale per il segretario e un aggravio economico per l’organizzazione. Non si tratta di una svista né di un’ingenuità ma di una scelta precisa e calcolata.
Questa decisione è coerente con un modello di potere che utilizza il peso dell’organizzazione per sé. I benefici non ricadono su chi lavora ma su chi occupa il vertice della piramide sindacale. Non siamo davanti a una semplice decisione editoriale ma a una scelta che dice tutto. Questa scelta ci dice da che parte stanno le priorità e chi viene messo al centro. Non la CGIL e non i lavoratori ma il suo segretario generale che vive nell’apparato.
Egli gode di un trattamento economico, diretto e indiretto, ormai lontano da quello della base che rappresenta. Questa distanza non ha bisogno di essere commentata perché è sufficiente a spiegare le scelte compiute. A questo punto ogni tentativo di giustificazione cade di fronte all’evidenza dei fatti appena raccontati. Quella che stiamo osservando non è una deriva occasionale ma l’esito di una leadership disastrosa, riassumibile in una sola parola: Vergogna.
Questa vicenda non racconta una vittoria sindacale ma svela il declino morale di una leadership ormai lontana. La base degli iscritti meritava un rispetto maggiore di quello dimostrato con questa operazione commerciale così spregiudicata. Il sipario cala su un dirigente che ha barattato la propria credibilità politica per un pugno di copie. La vera eredità di Landini non resterà nelle parole scritte ma nel silenzio rassegnato dei lavoratori traditi.
Approfondisci leggendo l’articolo dedicato allo stipendio di Maurizio Landini



